Meridione per principianti


MATTEO, Prima parte: Ci sono momenti della vita in cui ti fermi ad ascoltare le storie degli altri, spesso negative; l’amico di un amico che ha avuto un incidente stradale, un cugino di terzo grado a cui è stato diagnosticato un tumore. Non pensi mai che certi avvenimenti possano capitare a te. Nemmeno Matteo lo pensava, in verità non si era mai posto il problema, semplicemente, come tutte le grandi storie, questa gli cadde addosso all’improvviso. Era il sette Agosto 2015 e lui era stato invitato al compleanno di un suo compagno di classe. Lui li avrebbe compiuti un mese dopo anche se sembrava un ragazzo molto più grande, già maturo. Odiava le feste di compleanno, nel sud Italia avevano tutte la stessa prassi, un piccolo buffet con della rosticceria, un amico del festeggiato che si improvvisava deejay, tanto alcool e l’immancabile erba. Matteo era astemio, non aveva mai fumato e odiava le canzoni commerciali che venivano riprodotte, ergo durante quei compleanni si sentiva un pesce fuor d’acqua. Ma per gli amici questo ed altro, l’ultimo giorno di scuola era arrivato addirittura a comprare una bottiglia di grappa per i suoi coetanei. Giorgio, il compagno di classe, per tutto il primo liceo addirittura vicino di banco, si era fatto prestare la villa (con piscina) di un amico, per festeggiare tutta la notte. La piscina rincuorava abbastanza il ragazzo, soprattutto perché mentre tutti bevevano e si comportavano da “animali”, avrebbe potuto fare una nuotata e rilassarsi.
Dunque, un po’ prima di mezzanotte, si fece accompagnare in questa villa che si trovava in un paese a pochi chilometri dal suo. Arrivato lì, la situazione era la solita. Matteo fece un bel respiro e si tuffò nella serata, cercando di camuffare la sua infelicità e di recitare la parte di quello che si divertiva. Stranamente c’era solo una ragazza, la conosceva perché era nella sua stessa classe alle medie, la salutò. Durante il corso della serata, fino alle due di notte, non successe niente di particolare, a parte la giovane che non avendo il costume da bagno, dopo cinque drink decise di spogliarsi in intimo e buttarsi con una quindicina di maschi in piscina che a un certo punto la accerchiarono incitandola a spogliarsi del tutto. Matteo fu abbastanza inorridito dalla scena, tutti questi ragazzi che sbattevano su e giù le braccia in acqua, gridando a lei, diciassettenne ubriaca e compiaciuta di ciò che stava facendo, di togliersi tutto. E lei lo fece. Lanciò via il reggiseno che cadde in acqua, vicino a dove si era seduto Matteo che con tutta la volontà del mondo non era riuscito ad unirsi alla mandria di quelli che ai suoi occhi erano gorilla con gli ormoni in tempesta.
Come dice un vecchio detto: “Non succede mai nulla di buono dopo le due di notte” e infatti quella sera, circa verso quell’orario, il gruppo si spostò sotto il portico della villa a rollarsi una canna. Non fecero neanche in tempo ad accenderla che i genitori del ragazzo che aveva prestato la villa a Giorgio arrivarono a controllare che fosse tutto calmo, ovviamente non lo era. I signori lo presero in disparte e lo sgridarono, infine, viste le circostanze, cacciarono tutti dalla casa. Per fortuna di Matteo la madre dell’amica ubriaca e mezza nuda alle tre di notte, era inspiegabilmente libera e poteva venirla a prendere. Con grande imbarazzo anche lui chiese un passaggio e dopo un’interminabile viaggio in macchina pieno di tensione per lo status della ragazza, fu lasciato all’entrata del suo paese. Erano le tre di una calda notte d’Agosto, ed è qui che la vita di questo singolare ragazzino stava per cambiare, un ragazzino maturo, avanti rispetto agli altri ma comunque non pronto a quello che stava per vivere. Ora immaginate, un paese composto da duemilacinquecento abitanti, per lo più vecchietti, completamente vuoto a quell’orario, secco, asciutto, silenzioso. L’unico segno di vita era Matteo che camminava tra le mura e i palazzi del centro storico godendosi quell’atmosfera cinematografica, era tutto perfetto nella sua staticità, sembrava una scena di “Roma” di Federico Fellini, mancava solo Anna Magnani che dando la buonanotte avrebbe chiuso il portone di casa. E così Matteo camminava, camminava, camminava e sorrideva, perché non poteva non essere felice per quel piccolo sprazzo di bellezza, quel piccolo angolo di paradiso che aveva a disposizione. Abitava in campagna, in periferia, quindi dall’entrata del paese, dopo mezz’ora di piacevole passeggiata e una serata a stretto contatto con il barbaro pezzetto di società composto dai suoi coetanei, arrivò a casa.
Era rimasto d’accordo che i suoi sarebbero andati a prenderlo dall’amico verso le nove del mattino, quindi casa sua era completamente chiusa, a partire dal cancello che dava l’accesso al lungo viale che arrivava sino al portone. Per fortuna però, accanto al viale c’era un piccolo giardino delimitato da un muretto alto circa un metro che confinava con la campagna accanto alla sua, completamente abbandonata e piena d’ulivi. Aggirando tutta la parte laterale del cancello facilmente riuscì a scavalcare ed entrare nella campagna accanto alla sua, per poi scavalcare nuovamente il muretto d’un metro ed entrare finalmente nel perimetro dell’abitazione. Sapeva bene che non avrebbe avuto accesso in casa senza svegliare qualcuno e se lo avessero scoperto lo avrebbero sicuramente sgridato, ma soprattutto riempito di domande. Decise quindi di stendersi accanto al muretto e provare a dormire lì in giardino, sotto le stelle, anche perché, vista l’atmosfera, la cosa non gli dispiaceva affatto. Prese il suo cellulare, impostò la sveglia alle 8:30 in modo che avrebbe potuto rientrare fingendo di essere stato riaccompagnato da qualche altro genitore e infine guardando all’insù socchiuse gli occhi cercando di addormentarsi.
Era in dormiveglia quando fu bruscamente svegliato dal rumore del motore di una macchina, cosa molto strana dato che era una zona in periferia, prevalentemente campestre e dove già di giorno passavano pochissime macchine. Erano circa le quattro del mattino. Alzando il busto poteva osservare la strada che si trovava dietro al cancello di casa sua a destra del muretto accanto al quale si era steso. Vide una macchina parcheggiata perpendicolarmente rispetto alla strada con i fari puntati verso la campagna abbandonata al di là del muretto. Pensò che fosse qualche vecchietto mattutino che dedicava il suo tempo in pensione all’agricoltura, ma escluse subito l’ipotesi perché quel pezzo di terra era abbandonato da tempo, appartenuto a due anziane signore decedute quando lui aveva una decina d’anni. La situazione era dunque sospetta, si rannicchiò accanto al muro e sbirciò giusto per vedere cosa stesse succedendo. Passarono alcuni minuti e dalla macchina nessun segno di vita, le luci erano troppo forti per vedere se ci fosse qualcuno dentro. Nella sua testa iniziarono a venire alla luce alcune ipotesi, come ad esempio che potesse trattarsi di una coppia in cerca di intimità, ma in quel caso, pensò, difficilmente avrebbero lasciato i fari accesi in quel modo. Allora suppose che potesse trattarsi di qualche ubriaco sperduto per le campagne dopo una notte di baldoria, fu grazie a quest’ipotesi che il timore inizialmente provato si affievolì e prese in considerazione di alzarsi e andare a dare un’occhiata, ma riconsiderò la cosa, dato che se ci fosse stato qualche malintenzionato non avrebbe potuto cercare aiuto da nessuna parte. I minuti passavano e non succedeva nulla, la macchina rimaneva lì, immobile, come se chiamasse a se Matteo per andare a guardarci dentro. Alla fine, la curiosità, l’adrenalina generata dalla curiosità vinse sulla paura che potesse succedere qualcosa: decise di alzarsi e dare un’occhiata. Non fece neanche in tempo a mettersi in ginocchio però, che uno degli sportelli anteriori della macchina si aprì e qualcuno scese di lì. Matteo si buttò a terra, era stato visto? Trattene il fiato, si trovava pancia a terra, col mento sprofondato nel terreno e con i pugni che stringevano l’erba. Sentì dei passi. La figura stava venendo verso di lui? Iniziò a tremare, a sudare, ma non smetteva di avere le orecchie aguzzate, non voleva perdersi alcun tipo di rumore che potesse fargli capire cosa stesse succedendo. Dopo qualche secondo sentì il cofano aprirsi e il rumore di un oggetto appoggiato a terra. Ascoltò, qualcuno stava imprecando a denti stretti, come se stesse sollevando qualcosa, poi un tonfo. Giunse a due conclusioni: la prima, la figura si trattava di un uomo. La seconda, chiunque fosse era da solo e stava facendo qualcosa di nascosto, che non voleva qualcuno vedesse, altrimenti non si sarebbe isolato così a quell’ora. Seguì il rumore del cofano chiuso, successivamente invece, quello di qualcosa di pesante trascinato prima sull’asfalto, poi nella terra. Ad un certo punto il rumore cessò, per ascoltare meglio Matteo provò a mettersi nuovamente seduto ma nel girarsi con i piedi urtò un cespuglio del suo giardino. Un colpo secco che fece tremare tutte le foglie della pianta. Era finito. Era stato scoperto. Non dovette nemmeno sforzarsi per riuscire a sentire l’uomo che gridava se ci fosse qualcuno lì. Non dovette sforzarsi neanche per accorgersi che a passi veloci la figura si stava recando verso quel dannato muretto. Una qualsiasi persona in quel momento avrebbe iniziato a pregare. Matteo non era mai stato religioso, non credeva in Dio, non frequentava la Chiesa e anche lì, in quegli istanti di terrore,  decise di essere coerente con se stesso e non invocare alcun Dio, sarà stato questo atto di coerenza o forse una semplice coincidenza che fece incredibilmente attuare un miracolo: un gatto saltò sul muretto, proprio sopra di lui, tanto che la coda dell’animale gli accarezzò la fronte. L’uomo che si era fermato a ormai un paio di metri dal muretto bestemmiò contro l’animale che a quanto pare lo aveva spaventato e tornò indietro. Matteo mise una mano sulla sua bocca per non gridare e sentì una lacrima rigargli il viso. Ciò che udì dopo gli fece raggelare il sangue nelle vene: una pala che scavava nel terreno, quell’uomo stava scavando una buca. Il ragazzo voleva schiaffeggiarsi per verificare che fosse tutto vero, forse stava sognando, non poteva essersi ritrovato al centro di una scena da film dell’orrore, nel suo paesino di duemilacinquecento anime, totalmente sperduto nel sud Italia. Il vero problema però era che la sua mente, forse annebbiata dalla situazione, non riusciva a trovare una soluzione non maligna a quell’uomo che scavava una buca alle quattro di notte in una campagna abbandonata. Era tutto surreale. L’unica cosa che riusciva a pensare fu che quell’uomo, quella figura, stesse sotterrando un cadavere. Nella migliore delle ipotesi era il cadavere di un animale, magari di un cane, fatto sta che si trattava comunque di un reato. I rumori che provennero dall’altra parte del muro confermarono la sua teoria: aveva scavato una buca, ci aveva messo dentro qualcosa di pesante visto il tonfo e l’aveva coperta. Così l’uomo molto velocemente tornò alla macchina, accese il motore e se ne andò, lasciando a sua insaputa e a pochi metri da lì un ragazzo di diciassette anni pieno di dubbi e molto spaventato.
Matteo rimase congelato, seduto a terra con le spalle attaccate al muro, la testa piena di domande ma allo stesso tempo vuota e stanca, alla fine lui poche ora prima era uscito di casa solo per andare ad una festa di compleanno e ora si era ritrovato ad assistere a quella scena. Forse stava solo esagerando con l’immaginazione e magari lì non era successo nulla di grave, effettivamente da un lato era anche curioso di sapere cosa ci fosse sepolto tra gli ulivi oltre quei pezzi di cemento alti quasi un metro, decise così, follemente, di scavalcare e andare a vedere. Cercò nel buio, con la torcia del telefono, il punto in cui la figura aveva scavato e con le mani che tremavano creò una buchetta fino ad arrivare a toccare qualcosa di solido, probabilmente, un sacco nero della spazzatura. Le pupille di Matteo si dilatarono, un urlo strozzato uscì dalla sua bocca, ricoprì quella buchetta di pochi centimetri e corse via di lì, spaventato.
E se in quella busta ci fosse stato un cadavere? Aveva appena toccato un morto? E se così fosse stato, aveva appena assistito all’occultamento di un corpo? Sapeva che non doveva andare a vedere cosa ci fosse lì dentro, si morse le labbra e imprecò contro se stesso. Come gli era saltato in mente di impicciarsi in una cosa del genere? Nel frattempo però stava albeggiando e la sua mente non era più in grado di ragionare, non voleva rimanere un altro minuto in più lì, all’aperto, così si infilò nella macchina dei suoi, parcheggiata sul viale di casa e dormì fino alle otto e trenta, per poi entrare in casa, far finta di essere stato riaccompagnato dai genitori di Giorgio e rimettersi a dormire nel suo letto.
Il giorno dopo uscì con i suoi amici in paese, ovviamente con mille pensieri per la testa, sembrava tutto ok, se non fosse che tutti parlavano di un’immigrata rumena, che tutti conoscevano e lavorava in uno degli alimentari del paese, che se n’era andata via di punto in bianco, lasciando tutto lì, nella sua casa del sud Italia. Matteo, sentendo questo, non poté non associare il fatto a ciò che aveva visto. Fu assalito da un conato di vomito. 

PAOLO, seconda parte: La prima volta che l’aveva vista se n’era innamorato subito, si chiamava Madeline ed era appena arrivata in Italia. Il titolare dell’alimentare dove lavorava lui l’aveva assunta per affiancarlo. Immaginò quanto potesse darle se lui prendeva solo settecento euro al mese e lì dentro faceva poco e niente, sistemava gli scaffali, chiacchierava con il tipo al bancone degli affettati, sfotteva gli anziani che andavano a fare la spesa. La vita in quel piccolo market sarebbe cambiata, ora c’era un’anima in più da mantenere, da sopportare. Paolo era sull’orlo della depressione, aveva cinquantacinque anni, non si era mai realizzato e aveva cambiato diversi lavori prima di stabilizzarsi lì. Una moglie casalinga, due figli che entrambi avevano lasciato la scuola dopo la terza media per poi andare a lavorare fuori dal paese ma soprattutto, già alle nove del mattino aveva in mano una bottiglia di birra. Non provava più emozioni se non un grande senso di vuoto, perciò, la mattina dell’arrivo di Madeline, vedendo la bellezza di quella donna rumena, fu come rinascere, come se tutto il mondo intorno a lui si fosse risvegliato. La cosa più bella però fu scoprire di poter provare ancora certe emozioni, un vecchio film diceva “È una gran cosa quando realizzi di avere ancora l’abilità di sorprenderti. Ti fa chiedere cos’altro puoi fare che ti sei dimenticato”.
Tutto aveva di nuovo un senso e lui, nonostante l’alcol e l’infelicità, si manteneva sempre un bell’uomo. Alto, bruno, corpulento, occhi verdi. La tipica bellezza mediterranea. Incredibilmente, anche lei si innamorò di lui e i due avviarono una relazione. Non lo venne a sapere nessuno, anche perché i momenti di effusioni avvenivano la sera dopo cena, a casa di lei, un piccolo appartamento non troppo centrale in paese, che era appartenuto ad una vecchia zitella che non lo aveva lasciato a nessuno e quindi era stato messo in affitto dal comune. Paolo diceva alla moglie che usciva al bar in piazza a prendersi un bicchiere di grappa e in realtà andava dalla sua Madeline. La relazione extraconiugale di Paolo, però, non era destinata a durare molto. Due anni per essere precisi. Tutto finì la notte del sette Agosto 2015.
Per tutta la giornata, nonostante i condizionatori, aveva fatto un caldo tremendo e l’uomo era tornato a casa dalla moglie tutto sudato. Come ogni sera, entrò in casa, si fece la doccia e si sedette a tavola per cenare. Sul tavolo c’erano due piatti, un po’ d’olio, del sale, una bacinella piena d’acqua, una bottiglia di vino prodotto in paese e delle friselle, ovvero un pane tipico della sua zona, tostato, che si condiva con dei pomodorini e veniva mangiato. Consumò la cena e mentre stava per alzarsi e andare al bar a “bere un bicchierino”, la moglie, che non gli aveva detto una parola per tutta la serata e per tutto il tempo era stata a fissare la televisione, dove davano Miss Italia (che quell’anno si svolgeva nella piazza di Bibbiena), lo afferrò per un braccio. Paolo la guardò e le chiese cosa volesse, era da tanto che non la guardava dritta negli occhi, che non le guardava il volto; si era molto imbruttita, la bellezza che possedeva un tempo, quando i due con tante speranze ed amore si erano sposati, era svanita, ora lui la vedeva solo come un grosso pezzo di carne, pieno di rughe, che si occupava solo di pulire la casa, cucinare e fare lavatrici. Lei gli disse che suo fratello, Girolamo, aveva portato a casa una bottiglia di grappa che gli era stata regalata per il compleanno, ma che lui non voleva essendo astemio, quindi poteva berla a casa. Paolo annuì ma le disse che avrebbe comunque fatto due passi per digerire una volta finita la grappa. La moglie pulì velocemente i due piatti e andò a coricarsi.
Il nostro protagonista si versò il primo bicchiere di grappa, poi il secondo, il terzo, quarto e così via. In pochi minuti aveva finito la bottiglia. Si alzò barcollando, aprì la porta di casa e si buttò in macchina, destinazione casa della sua amante. Essendo totalmente ubriaco ci mise un po’ a trovarla, girò parecchio nel paese, per una buona mezz’ora, perdendosi in periferia. Si era ormai fatta quasi mezzanotte e vide uscire una macchina dalla villetta dove abitavano due brave persone, entrambi lavoravano in banca e avevano un figlio, Matteo, ragazzo tranquillo, si chiese dove stessero andando a quell’ora. Grazie a quella casa però, ritrovò il senso dell’orientamento e finalmente riuscì a trovare casa di Madeline.
Quando scese dalla macchina avvertì sulla pelle l’umidità dell’aria del Sud Italia, ne fu infastidito. Bussò alla porta della rumena che gli aprì in vestaglia. Erano quelle piccole cose che ricordavano a Paolo che aveva di fronte una persona straniera. Tutte le donne lì, ogni volta che aprivano casa o dovevano uscire per pochi istanti e avevano ancora addosso il pigiama, si coprivano solo il sopra con la giacca della tuta del marito, senza mai chiudersela, soltanto tenendo le due estremità con una mano. Era incredibile come lo facessero tutte e come la cosa era persistita nel tempo. Completamente ubriaco, l’uomo entrò in casa barcollando, senza neanche ascoltare cosa gli stesse dicendo Madeline, gridando. Erano parole di italiano misto a rumeno, capì appena che lei lo voleva immediatamente fuori di casa, che era tardi e che era stata in pensiero per tutta la sera non vedendolo arrivare, che puzzava di alcol e che non era il caso si fermasse a quell’ora, visto che sua moglie poteva preoccuparsi.
Aveva bevuto tutto il giorno e quella bottiglia di grappa era stata il colpo di grazia, lo aveva messo totalmente KO. Tutti i suoni che sentiva rimbombavano nella sua mente, come un’orchestra. La voce alta della donna si trasformò in musica che lo fece rilassare, già, rilassare. Tutto quello che voleva era sedersi sul divano e sprofondare in un sonno profondo. Si accasciò quindi sul sofà di lei ed iniziò a dormire. Non si rese conto di quanto tempo passò, ma fu svegliato nuovamente da Madeline che urlava. Lo fece in modo talmente brusco che lui, non rendendosi conto di quello che stava accadendo, le tirò istintivamente uno schiaffo. Non fece neanche in tempo a scusarsi, anche se non capì bene se volesse farlo o no, che lei per difendersi si buttò sopra di lui e lo morse. Il cervello di Paolo ormai non connetteva quasi più per colpa dell’alcool, si sentiva arrabbiato, molto arrabbiato. Scaraventò a terra la donna, si tolse la cintura, gliela mise intorno al collo e strinse più forte che poteva, finché lei non diede più segni di vita. Rimase in silenzio accanto al corpo e si addormentò. Quando riaprì gli occhi si sentiva ancora stordito dall’alcool, guardò l’orologio in salotto che segnava le tre meno un quarto. Era tardi, chissà sua moglie cosa avrebbe pensato, se lo stava cercando, ma questo era un problema minore: non aveva nemmeno metabolizzato ciò che aveva fatto che doveva disfarsi di un cadavere. Ma come fare? Si alzò barcollando, prese i guanti di gomma che servivano per pulire piatti, li indossò, poi cercò un sacco pulito della spazzatura e dopo averlo aperto, ci infilò dentro il corpo senza vita della donna.
Molto in fretta e assicurandosi che nessuno lo vedesse, caricò tutto in macchina, dove aveva fortunatamente una pala che usava ogni tanto nel piccolo giardino di casa sua e si recò in periferia. Nella casa accanto alla quale era passato qualche ora prima, c’era una campagna abbandonata da anni, avrebbe potuto seppellire lì il cadavere. Ci arrivò, a destra aveva la villetta dei due banchieri, le due proprietà erano separate da un muretto non molto alto. Si posizionò dirimpetto ad essa, in modo che con i fari potesse farsi luce, era difficile che qualcuno passasse di lì a quell’ora, ma non impossibile, quindi doveva sbrigarsi. Stava per scendere quando istintivamente scoppiò a piangere. Non si ricordava nemmeno quanto tempo era passato dall’ultima volta che lo aveva fatto, ma in quel momento era più che necessario. Non era mai stato un uomo aggressivo, qualche schiaffo ai suoi figli quando erano piccoli e nulla di più. Non riusciva a credere di aver fatto del male ad un altro essere umano, addirittura arrivare a privarlo della vita. In più non era un essere umano qualsiasi, era quello che gli aveva restituito un briciolo di felicità, quello che lo aveva fatto sentire ancora vivo. Si rese conto che non piangeva da tanto tempo perché dentro di se aveva pianto tutta la vita, triste per essere relegato nelle “mura” del suo paese, senza soddisfazioni, successi e momenti di leggerezza. Quella notte gli aveva dato il colpo definitivo. Quella notte, uccidendo, era morto anche lui. Passò così dieci minuti buoni a riflettere e singhiozzare, finché non si rese conto che il tempo passava e doveva sbrigarsi, finendo il suo lavoro. Scese dalla macchina, aprì il cofano, prese il badile e lo poggiò a terra. Successivamente provò a sollevare il sacco nero della spazzatura mettendoselo sulle spalle, imprecò per la fatica, ma non ce la fece comunque, le braccia non ressero e il cadavere cadde a terra producendo un tonfo. Immaginò le parti del corpo spappolarsi sull’asfalto, ma per fortuna quella, era solo una sua visione. In una mano prese la vanga, nell’altra da un’estremità il sacco con dentro la sua Madeline, iniziò a trascinarlo finché non si addentrò abbastanza nella campagna, poi, proprio nel momento in cui stava per iniziare a scavare, sentì muoversi qualcosa nella casa accanto, come se qualcuno avesse colpito una pianta.
Si spaventò. Qualcuno lo aveva visto? A quell’ora? Se l’era immaginato? L’alcool tirava brutti scherzi…
Poggiò lo strumento a terra e iniziò ad incamminarsi verso il muretto dal quale aveva sentito il rumore, chiedendo se ci fosse qualcuno lì. Arrivò a un paio di metri dal muretto e stava per guardare cosa ci fosse dietro, quando un gatto, sbucò fuori. Paolo tirò un sospiro di sollievo, solo un maledetto felino, nessuno lo aveva visto. Girò i tacchi, riprese la pala ed iniziò a scavare. Buca dopo buca, vedeva l’estremità in ferro dell’attrezzo entrare e uscire dalla terra secca, rossa, pensando che quella povera donna, aveva lasciato tutto in Romania, amici, famiglia, per giungere in Italia e farsi ammazzare da lui. Finì il lavoro, rientrò in macchina e se ne andò a casa. La moglie dormiva. Tutto il paese dormiva, come se qualcuno in quell’abbandonato sud Italia fosse mai stato sveglio. Alla fine, buttatosi nel letto, prese definitivamente sonno.
I giorni che seguirono furono terribili,  Paolo si aspettava che avrebbero trovato il cadavere e in poco tempo lo avrebbero ricondotto a lui, aveva ormai stampata in mente l’immagine dei Carabinieri che entravano nel negozio per arrestarlo, si era già preparato al momento, sapeva cosa dire alla moglie per salutarla, ma sapeva anche che alla fine non le avrebbe detto nulla, come sempre. Quando si seppe che Madeline era scomparsa, nessuno provò nemmeno ad ipotizzare che le fosse successo qualcosa, davano tutti per scontato che se ne fosse tornata in Romania. A nessuno importava di lei, tranne a Paolo, che però da ubriaco le aveva tolto la vita, che era pieno di rimorsi per questo, che più passavano le ore, i minuti, i secondi andava incontro alla pazzia. Alla fine, qualche giorno dopo, un contadino del luogo, passando per quelle stradine di campagne notò la forma della buca e curioso andò a vedere cosa fosse. Inutile dire che scoprì tutto. Poliziotti, scientifica, investigatori arrivarono sul luogo. Ovviamente a lavoro per intere mattine, pomeriggi e sere non si parlava d’altro: cadavere, Madeline, polizia, colpevole. Queste erano le parole che rimbombavano nella sua testa. Vennero anche alcuni poliziotti tra cui un amico di suo fratello a fare alcune domande alle persone che lavoravano con la rumena, Paolo fece finta di non sapere nulla. Alcuni giorni dopo, a lavoro, mentre ascoltava la cassiera aggiornare tutti sulla situazione, ebbe un mancamento, avevano arrestato Matteo, il ragazzo della casa accanto, per omicidio.

ENZO, terza parte: Era in fibrillazione. Avrebbe rivisto tutti i suoi amici d’infanzia in una reunion in occasione del compleanno di Girolamo, suo amico di vecchia data. Gli aveva comprato una cravatta rosa, Giorgio Armani, questo perché il giorno del diploma si era presentato con una cravatta di quel colore e tutti, di lì in poi, lo avrebbero preso in giro. Erano passati trentadue anni. Era la sera del sei Agosto 2015 e dopo essersi lavato, vestito e profumato, Enzo, cinquant’anni, un uomo basso ma ben piazzato, stempiato, occhi neri era pronto ad andare a festeggiare e a rincontrare gli amici che lo avevano accompagnato nei primi anni della sua vita.
Prima di andare però, entrò in camera di suo figlio Giorgio per salutarlo. Era seduto sul letto e appena entrò lo vide agitarsi e nascondere qualcosa sotto il cuscino. Il figlio si accorse che lo aveva visto, non ci fu nemmeno bisogno che dicesse qualcosa, tirò subito fuori l’oggetto che aveva nascosto. Una bottiglia di grappa. Enzo era sempre stato severo con suo figlio e non voleva assolutamente che bevesse o fumasse, gliela requisì, non senza aver prima chiesto dove l’avesse presa. Giorgio vuotò il sacco, gliel’aveva regalata il suo vicino di banco a scuola, Matteo, l’ultimo giorno e aveva pensato di tenerla per la sera dopo, dato che avrebbe festeggiato il suo diciassettesimo compleanno. In realtà non si era arrabbiato più di tanto, ma gli fece comunque una brutta ramanzina, d’altronde, lui, era il colonnello della polizia provinciale, doveva mantenere una certa autorità. Non beveva, quindi decise di sbarazzarsi subito di quella bottiglia di grappa portandola alla festa. La serata fu molto divertente, si era svestito della sua tenuta a tre stelle per tornare quel ragazzino spensierato che era una volta. Tra carne grigliata, parolacce e aneddoti Enzo passò alcuni dei momenti più rilassati della sua vita. Prima di andarsene, diede la bottiglia a Girolamo, lui si mise a ridere dicendo di essere astemio proprio come lui, i due si chiesero come facessero da ragazzini a divertirsi così tanto senza alcool, continuarono a ridere. Alla fine Enzo gli disse mal che vada di portarla a suo fratello Paolo, un magazziniere del paese.
Tornò a casa all’incirca verso l’una e proprio vicino casa di Matteo, il vicino di banco di suo figlio, un gatto nero gli attraversò la strada. Non era mai stato scaramantico, pensava che gli scaramantici portassero male, quindi tirò dritto sereno, ignaro però che i gironi successivi sarebbero stati abbastanza complicati.
Enzo era oramai un professionista del suo mestiere, vero anche che per entrare in polizia, ventisette anni prima i suoi genitori avevano pagato un politico per farlo raccomandare, come tutti in caserma, ma era anche vero che in ventisette anni aveva acquisito una certa esperienza. Non era ancora arrivato al punto però, di dover cercare un killer in quei posti dimenticati da tutti, anche dai cittadini stessi. I casi che si risolvevano di più erano di spaccio, per lo più erba, portata dagli extracomunitari. Sequestri di sostanze stupefacenti, in continuazione. Passato qualche giorno dalla festa, la mattina del dodici Agosto 2015, alle cinque del mattino, lui non era neanche in servizio, ricevette una chiamata a casa. Gli dissero che un contadino aveva detto di aver trovato il cadavere di una donna sepolto in una campagna. Enzo fu abbastanza incredulo, si vestì velocemente e andò in caserma dove con una pattuglia raggiunse la campagna. Fu sorpreso nello scoprire che questo cadavere era stato trovato nella campagna accanto alla casa del giovane Matteo. La scientifica era già intervenuta sul posto e lo avevano tirato fuori dalla buca, l’avevano già identificata: Madeline Chivu, clandestina.
Dovette subito prendere il controllo dell’assurda situazione, i periti della scientifica dissero subito che era morta strangolata, probabilmente da una cintura e che il corpo era lì da qualche giorno, quattro o cinque per la precisione. Come prima cosa decise insieme ad altri due poliziotti di entrare in casa dei due banchieri a chiedere se nei giorni precedenti avessero visto qualcosa. Si sedettero al tavolo del salotto e parlarono, il più timoroso era Matteo, che tremava visibilmente. Enzo pensò che fosse dovuto al fatto della bottiglia di grappa, sicuramente Giorgio gli aveva riferito che gliel’aveva sequestrata e quindi ora il ragazzo aveva paura di lui o che dicesse qualcosa ai suoi genitori, che a dirla tutta, pensò l’uomo, erano brave persone. Non disse nulla riguardo l’alcool e loro non dissero di aver visto o sentito nulla. Sicuramente la donna era stata uccisa altrove e buttata lì, in quella campagna, fra gli ulivi. Successivamente andarono nella casa dove viveva, non trovarono nulla, nemmeno con il luminol, probabilmente non era stata uccisa nemmeno lì. Parlarono con le persone con le quali lavorava, tra cui Paolo, il fratello del suo amico Girolamo, che disse di non sapere niente, tranne che di punto in bianco non si era più presentata a lavoro. Non avevano niente, nessuna prova, nessuna testimonianza, tranne quel pezzo di carne ormai viola, puzzolente e quasi del tutto sciolto, sotto il caldo meridiano.
Qualche giorno dopo, mentre era nel suo ufficio a sbrigare alcune carte, uno dei suoi colleghi, entrò saltando e gridando: erano arrivati i risultati della scientifica che aveva analizzato il cadavere e soprattutto il sacco della spazzatura nel quale era stato chiuso e proprio su questo c’erano delle impronte, quelle di Matteo. Enzo non poteva crederci, un ragazzino di quell’età aveva commesso un omicidio del genere? E perché mai avrebbe dovuto farlo? Non aveva senso. Dovette però rispettare il procedimento e effettuare un mandato d’arresto per il diciassettenne. Arrestare il compagno di banco di suo figlio, come l’avrebbe presa Giorgio? Non ebbe però tempo di pensare a queste cose, dovette subito mettersi in macchina ed andare a casa del ragazzo per arrestarlo. Enzo si trovò di fronte ad una delle scene più pietose della sua vita, ma d’altronde, quel Matteo, avrebbe dovuto spiegare la presenza della forma del suo polpastrello su quel sacco nero della spazzatura. Entrarono in casa spiegando perché erano lì, la madre si mise a urlare e piangere, il ragazzo uscì dalla sua camera e appena seppe che doveva seguire i carabinieri strillò e pianse anche lui. Il padre guardava tutto senza dire una parola, con gli occhi sbarrati. Ammanettarono Matteo che continuava a urlare, ma questa volta urlava parole diverse, urlava di aver visto un uomo la notte del compleanno di suo figlio, urlava una storia inedita, forse aveva davvero visto qualcosa, ma Enzo non poté dirgli niente se non che lo avrebbero ascoltato in caserma. La madre e il figlio, in preda a urla e convulsioni, furono separati.
Matteo fu portato nel carcere minorile, dove avrebbe passato una notte per poi il giorno dopo essere sentito dal PM, Magistrati con i dovuti avvocati. Enzo tornò a casa e raccontò tutto a Giorgio, che a sua volta si mise a piangere, il padre fece anche per abbracciarlo ma lui rifiutò. Quella sera andò a letto stremato, ignaro che il giorno dopo un’altra batosta lo avrebbe colpito in pieno volto.Alle sei del mattino ricevette una telefonata da un collega che gli diceva di recarsi immediatamente al carcere minorile. La luce rosea del mattino colpiva la finestra della camera da letto di Enzo, che velocemente si vestì, si mise alla guida della sua vettura e arrivò presso l’istituto minorile. Gli dissero che c’era stata una lite in carcere, secondo la ricostruzione alcuni ragazzi avevano iniziato ad insultare Matteo che in preda ad una crisi di nervi aveva colpito uno di loro, in seguito questi, in massa lo avevano riempito di botte, uccidendolo. Enzo, dopo ventisette anni di carriera aveva visto e sopportato di tutto, ma questa volta, tradito forse anche ormai dalla sua età non più giovanissima, svenne. Quando si svegliò continuava a non capire nulla, aveva le orecchie che gli fischiavano, prese la macchina e tornò a casa, erano circa le otto del mattino, passò vicino casa di Matteo, chissà se i genitori si erano già svegliati, pensò che sarebbe stato il giorno più brutto della loro vita, quello che li avrebbe cambiati per sempre, traumatizzati per sempre, guardava la casa e pensava che quelle mura nel giro di poco tempo avrebbero visto la disperazione di una donna che ha perso il suo bambino. La strada era di campagna, guardava gli ulivi, i muretti a secco, guardava il mondo entrare in una nuova giornata. Poi, tra gli ulivi notò qualcosa, in particolare su uno di essi, c’era qualcosa. Si avvicinò con la macchina, scese e andò a guardare meglio: era un uomo impiccato, un leggero refolo di vento fece girare il corpo e di fronte ai suoi occhi vide il volto morto di Paolo, il magazziniere dal market di quel paese, fratello del suo amico Girolamo. Si era tolto la vita. Sbigottito, non sapendo se si stesse sognando tutto o se fosse reale, prese nuovamente la macchina e con la mente affollata andò nell’unico posto che potesse fargli iniziare il processo di metabolizzazione del tutto: il mare. Arrivò in spiaggia, comprò al bar un gelato, si sedette sul bagnasciuga e fissò l’orizzonte, guardando il sole sorgere su quella che sarebbe stata una delle giornate più difficili da sopportare della sua vita.