Viaggio al confine dei mondi selvaggi


Fa caldo e non soffia nemmeno un alito di vento. Il cielo terso lascia al Sole il pieno potere di piegare i suoi adepti alla calura estiva. Le strade sono piuttosto trafficate, considerando l’ora e la temperatura esterna.
La gente fluisce a ritmo singhiozzante rifrangendosi in gruppi più piccoli presso gli incroci delle strade secondarie, rumorosa, a volte un po’ scorbutica, ma mediamente felice. Mediamente, per l’appunto, perché per avere una buona media ponderata, si sa, bisogna escludere gli estremi.
In questo caso, dunque, bisogna non prendere in considerazione due gruppi di elementi che spiccano nella strada principale di Enos:
1) Un primo gruppo, composto da bambini, che scorrazza selvaggiamente verso sud sconvolgendo nel frattempo il regolare scorrere di asini di mercanti, carri di mercanti, mercanti stessi e popolani, e
2) un secondo gruppo, in realtà solo due persone, che procede a rigoroso passo di marcia verso nord.
Focalizzandoci in particolare sul secondo, possiamo notare una giovane sacerdotessa del Culto, sui venticinque, la cui caratteristica principale, e anche la più vistosa al momento, è quella di essere particolarmente incazzata; al suo fianco un bimbo dalla faccia rognosa, denutrito, sporco, col viso concentrato sulla sua accompagnatrice (che lo tiene per mano in una morsa letale) ma anche sulle tasche di chiunque gli passi accanto.
« Non ti azzardare Aleth, non ti azzardare. Hai fatto anche troppi danni. Per oggi, ma anche per il resto della tua vita, hai fatto abbastanza danni. Guarda in che guaio siamo. Guarda. Lo capisci? »
« Ma signora, scusa, io non c’entro così tanto. »
« Ah no, tu non c’entri niente. No davvero. » Lei sbuffa, inviperita.
« No, signora. Cioè, un po’ sì. Ma te eri nella cacca anche senza di me. »
« Senza di te ero in una cacca migliore, vedi. Il punto è questo. »
« Ma signora, non è mica colpa mia se non stai simpatica alle tue colleghe. »
« Stai zitto Aleth, e cammina. E guarda dove metti i piedi, o guarda in cielo, non guardare le tasche delle persone. Tieniti la mano nella tua, di tasca. »
« Ma cosa hai fatto signora per non stare così simpatica alle tue colleghe? »
La sacerdotessa sbuffa di nuovo, continuando a trascinare il bambino nella calca, schivando al meglio delle sue possibilità asini, carri, mercanti, popolani e i fantasmi delle proprie passate e presenti responsabilità.
« E che ne so. Guarda Aleth, se ti becco la mano fuori dalla tasca è la tua fine. Ti spedisco dritto dritto al giudizio della dea Luna. Non ti ci provare. »
« Ma signora… » la coppia incrocia il gruppo di bimbi selvaggi. Attorno al punto di collisione si crea uno strano vuoto di passanti. Il ricco vestito della sacerdotessa, di fine tessuto color del Sole impreziosito di ricami dorati, con allegato quella faccia furibonda, terrorizza i bimbi, che escono evidentemente stracciati da quello scontro. La folla riprende a scorrere lungo l’arteria della città. « Scusa, signora, poteva andare peggio, no? »
«Te la taglio quella mano, Aleth, se te la becco fuori dalla tasca. Te la taglio, ti giuro. »

L’Abbazia è immersa nella luce, quasi come se le pareti e il soffito non esistessero e la navata centrale fosse uno spazio aperto come il grande parco che la circonda. Quando i due fanno il loro ingresso, è intrisa di profumo d’incenso, come al solito. La navata, che a colpo d’occhio potrebbe sembrare deserta, è in realtà colma di persone in preghiera. Le loro parole mormorate con rispetto e devozione si intrecciano in un omogeneo strato di rumore, morbido, che a tratti si confonde col silenzio.
Lux, giovane sacerdotessa di Heiron, adora l’atmosfera della chiesa principale del Culto. Adora venirci a pregare, a studiare, a meditare. Adora leggere nel Giardino del Sole. Adora tutto dell’Abbazia. E come sempre quando è all’Abbazia, si sente mediamente felice e rilassata.
Mediamente, per l’appunto, perché si sa, per avere una buona media ponderata bisogna escludere gli estremi.
Che in questo caso, prendendo in esame i sentimenti della giovane, sono:
1) Una grande trepidazione, un’attesa di una buona notizia. E quando si sta per ricevere una buona notizia, si è felici. Molto felici. Fieri di se stessi. Perchè oggi è stata chiamata all’Abbazia dalla sua superiora che deve comunicarle qualcosa. E per essere stata così criptica nel suo messaggio, ciò significa che deve comunicarle qualcosa di importante. E questo qualcosa dev’essere che la giovane sacerdotessa è stata elevata al rango superiore. Lux, che è sempre stata (fin troppo) consapevole delle sue capacità, confida in questa ipotesi. In caso contrario, beh, sarebbe un’altra questione; motivo per cui il suo animo è anche pieno di
2) Ansia, tristezza e delusione per se stessa profondissime, perché se la superiora non l’ha chiamata per comunicarle una promozione, l’ha sicuramente chiamata per infliggerle una punizione. E la presenza di quel bimbettino lì, Aleth, di certo non la fa propendere per la prima ipotesi.
Nel bel mezzo di questo esame di sé, la Gran Sacerdotessa appare sulla soglia della navata di destra, appoggiata alla colonna, quasi un tutt’uno con la meravigliosa architettura dell’Abbazia. I veli chiari della sua veste si sovrappongono e si confondono con le scanalature delicate della colonna, sfumando nel marmo, non rendendo chiaro dove la colonna inizi e la Gran Sacerdotessa finisca.
Con un secco gesto della mano fà cenno alla coppia di seguirla. Lux prende il bimbo per mano (bimbo che nel frattempo non si è astenuto dal disturbare: « Ciao signora! Come stai signora? Chi aspettiamo signora? La signora della signora? Eh? Eh? Signora? ») e procede lungo le grandi stanze riservate ai membri del Culto, finché la Gran Sacerdotessa non prende posto in una di queste, e finalmente si rivolge ai suoi sottoposti.
« Sacerdotessa Lux, Aleth, benvenuti. »
« Gran Sacerdotessa » Lux si inchina.
« Ciao signora della signora! » Aleth saluta con la manina.
La Gran Sacerdotessa Eirin è una donna anziana, ma ha conservato tutto quel che di bello aveva in gioventù. Anche il suo carattere è rimasto intatto dai tempi andati, ma quello non è noto per suscitare negli altri la gioia e l’apprezzamento a cui invece la sua figura dava vita.
« Presumo sappiate il motivo per cui vi ho chiamato qui oggi. »
Lux ha il sorriso di chi sta per sprofondare o nella più alta gioia o nella tristezza più profonda. Bene o male che vada, sprofonderà in una determinata emozione in ogni caso, e per chiunque gli stia intorno saranno problemi. Specialmente nel secondo caso.
« Aleth, non c’è bisogno di ricordartelo. »
« Cosa, signora della signora? »
« Che sei stato sorpreso da una novizia a rubare le offerte sotto l’altare del Grande Sole. »
« Ah, quello! » e sorride.
« Che Heiron ti perdoni e protegga. Per questo motivo abbiamo ritenuto più consono affidarti alle cure di Sacerdotessa Lux. Ti sei macchiato di un peccato grave, bambino, e speriamo che tu possa rialzarti dalle ceneri in cui sei caduto. »
« Aleth è con me solo da qualche giorno, Gran Sacerdotessa » attacca Lux, con riverenza, « ma già posso affermare con certezza che con lui sono stati fatti dei passi avanti. Ora inizieremo anche con le lezioni di grammatica e di educazione, e… »
« Ecco, a tal proposito, non penso che ne avrete l’occasione, Sacerdotessa. In questi giorni molte delle tue colleghe sono venute a parlarmi di te. »
« Oh. » fà lei. La Gran Sacerdotessa piega il suo sorriso verso il basso. Ansia, tristezza e delusione per se stessa profondissime prendono il sopravvento nel mare delle emozioni della sacerdotessa, che si tinge inevitabilmente di nero.
« E non è bello quando le tue colleghe parlano di te, signora? »
« Hanno espresso delle lamentele, Lux. Aleth qui non è l’unico che deve riprendere il sentiero maestro del Grande Sole. So quanto vali, e so quanto tieni al tuo posto presso la Reggia del Sole. »
« Sì, Gran Sacerdotessa. » Il volto di Lux ha assunto le stesse tonalità del suo vestito.
« Quindi ho pensato che un viaggio potesse far bene a entrambi. Un mio caro amico mi ha chiesto una mano in un affare speciale. »
Lux, in silenzio, si gusta la lama fredda della ghigliottina che le è caduta tra capo e collo.
« Quindi facciamo un viaggio? » Aleth è contentissimo. « Posso mangiare prima? »
« Certo Aleth » prosegue la Gran Sacerdotessa. « E non sarete soli. »
« Eh? Viene un’altra signora? »
« Non esattamente. » Dice enigmaticamente. « Si tratta di un giovane cavaliere. »
« Ah, un signore? »
« Sì. Il suo nome è Sigmund, un ragazzo dal folgorante destino, a detta di suo padre. Peccato che al momento sia… inesperto, diciamo. »
« Ah » commenta Lux.
« In ogni caso, Sigmund vi accompagnerà nel vostro viaggio. »
« E quale sarà il nostro obbiettivo? »
« Non ne sono a conoscenza nemmeno io. Dovrete parlarne col mio amico. »
Porge loro un bigliettino.
« Raggiungetelo lì. Da qui, prendete la strada principale verso nord. Saprà dirvi tutto quello di cui avete bisogno. »
Aleth prende il biglietto e prova a leggere: « L…le…lo…lo…loc… »
Lux glielo strappa praticamente di mano. « Locanda dell’Ostrica Ubriaca. »

Quando la porta si apre, i due vengono investiti da un forte odore di pesce. La stanza in cui si affacciano è buia ma decisamente vivace; è l’ora di pranzo, e l’Ostrica Ubriaca è quasi piena. La gente mangia rumorosamente e beve in modo ancor più chiassoso. Gli umani di Enos non hanno ben presenti i nani, ma di certo in quel momento a loro insaputa stanno facendo una bella concorrenza al caos delle taverne di quei simpatici esseri tozzi e barbuti.
La loro presenza stona con l’atmosfera del posto; l’attenzione della maggior parte dei clienti converge inesorabilmente sul ricco (in ogni senso) corpetto della sacerdotessa, e nessuno si accorge del piccolo bimbo che tiene per mano. Subito un tipo le si para davanti: losco, con un lungo mantello nero, sorride con fare non troppo limpido.
« Salve » Lux lo anticipa. « E’ questa l’Ostrica Ubriaca? »
« Sì. E voi dovete essere la sacerdotessa e il bambino di cui Eirin mi ha parlato. Prego, benvenuti, accomodatevi. Sono Terk, il proprietario. Il giovanotto vostro accompagnatore è già al tavolo. »
« Posso mangiare? » fa Aleth; le sue priorità son ben chiare.\« Certo piccolo. »
Terk li conduce a un tavolo più distante dal resto dei regolari cienti, in un angolo un po’ più buio della sala. Accanto al muro è seduto fin troppo compostamente, quasi fosse stato impalato sul posto, un giovane ragazzo biondo, bellissimo, con un’espressione persa e quasi impaurita. Indossa un elegantissimo abito bianco ricamato d’oro, con la stessa rappresentazione del Sole che fiorisce sul corpetto di Lux. In quanto ad inadeguatezza in quel contesto, riesce a battere di gran lunga la sacerdotessa con bambino.
Appena scorge la coppia il suo sguardo si fa ancora più terrorizzato. Non proferisce parola.
« Salve » Lux è quasi imbarazzata da quel silenzio. « Lei dev’essere l’onorevole Sigmund. »
« S-s-sì. » La sua voce è quasi impercettibile, ma dolcissima.
« Io sono Lux, sacerdotessa del Grande Sole Heiron, e lui… »
« Ciao signore! »
« …è Aleth. A quanto pare compiremo questo viaggio insieme. »
« G-g-già. » Nasconde timidamente lo sguardo dietro una ciocca più lunga dei finissimi capelli dorati che gli incorniciano il volto e che a volte ricadono sui fulgenti occhi azzurri in un’acconciatura non proprio curata.
Ma…sta balbettando? pensa Lux.
Mi sa che il signore è ricco ricco pensa Aleth.
Però è un gran bel pezzo di gnocco pensa ancora Lux.
Questo è ricco tanto tanto pensa ancora Aleth.
« E-e-e-e-eh già. »
Lux nutre grandi speranze per il ragazzo (che a vederlo ricorda la prestanza e la bella presenza di un dio, e che a sentirlo sembra invece un peluche morbidoso bisognoso di coccole e protezione dal mondo) e cerca di non abbattersi subito.
Sigmund sorride come sorride chi si prepara a ricevere una coltellata.
« Signora, il signore è quasi più bello di te! »
Lei lo fulmina con lo sguardo, però sorridendo. Il sorriso di chi si prepara a darla, una coltellata.
« Ho fame! » torna quindi a protestare Aleth. « Posso mangiare? »
Appena il tempo di dirlo che un ragazzotto bruciato dall’acne sbatte sul tavolo un piatto semivuoto con un pesciolino un po’ smagrito e dall’aria non sanissima morto nel centro.
« Ah, posso mangiare al tavolo? Non ho mai mangiato al tavolo. »
Lux non lo considera.
« Insomma, onorevole Sigmund, lei è un cavaliere? »
« S-s-sì. Ma non l’ho s-s-scelto io, l-l-l’ha deciso mio padre. »
« Ah » l’imbarazzo è tangibile. « L’ha deciso tuo padre. »
« S-s-sì, io volevo fare lo s-s-studioso, ma lui ha detto che sono stato t-t-toccato dal Signore e che d-d-dovevo prendere la s-s-spada e p-p-punire il male. »
« E signore, come ti ha toccato questo altro signore? » Nel frattempo ha già divorato il pesce.
« Zitto Aleth! »
« E-e-eh, b-b-babbo ha detto così. »
« Sono sicura che suo padre ci ha visto giusto, Sigmund. A lei è stato concesso un dono divino, così come è stato concesso a me. »
« M-m-ma mio padre è…u-u-uno s-s-stronzo. ecco. »
« Questa parola la conosco anche io! »
« Aleth, per favore! »
Finalmente si intromette il famigerato Terk: « Seguitemi, voglio mostrarvi una cosa. »

Li conduce fuori dalla taverna, in una sorta di cortile esterno dove è parcheggiato un carro alquanto malridotto.
« Allora, ragazzi, voi non siete i primi, e penso nemmeno gli ultimi, a cui faccio questa proposta. Quel che vi propongo è un viaggio a fini commerciali verso il lontano sud-est, verso le Terre dei Barbari. »
Sigmund trema come se soffiasse un vento artico.
« Molti gruppi sono partiti per la vostra stessa missione. E di questi gruppi, ogni volta, sono tornati tutti ad eccezione di una persona. Per ogni spedizione, sono tornati tutti tranne uno dei membri. »
« Ogni volta non ne torna uno? » chiede Lux.
« Già. E ogni volta gli altri si rifiutano di darmi una spiegazione. Oggi faccio questa proposta a voi. Prima di tutto, guardate qui. »
Tira fuori dal carro un pacco. Con lentezza e cautela, lo apre davanti agli occhi attenti (Lux) curiosi (Aleth) e terrorizzati (Sigmund) del trio.
Al suo interno c’è una pelliccia dal pelo folto e nero.
« Toccatela. »
I tre ubbidiscono.
« Che bella pelliccia, signore » fa Aleth. « Deve valere tantissimo! »
« E infatti è così, piccolo. Questa pelliccia vale più di quanto tu possa lontanamente immaginare. »
Al tatto è estremamente calda, troppo calda.
« Questa pelliccia è stata ottenuta tramite baratto in una di queste spedizioni. Qui nella nostra terra questa non esiste, perché solo i barbari sono riusciti a scuoiare questo animale. »
« Che animale sarebbe signore? » chiede Aleth.
« Che piccolo curioso che sei. » gli risponde Terk. « Con questa roba, loro sopravvivono all’inverno del sud-est. Non hanno altri vestiti, o tende, solo queste. Vi rendete conto che questo tipo di pelliccia ha potenzialità infinite nel nostro tessuto commerciale. In ogni caso, questo è il vostro compito: sarete miei ambasciatori in quelle terre per stabilire un patto commerciale. »
Silenzio. C’è determinazione (Lux), emozione (Aleth) e puro terrore (Sigmund) nei loro sguardi.
« Partirete domattina all’alba. Vi consiglio di fare scorte. »

All’alba del giorno dopo sono pronti, così come le loro scorte (per gentile concessione di Sigmund, che ha pagato anche per loro due; per tutta la durata del pomeriggio precedente inoltre Lux ha continuato a lanciargli occhiate focose e occhiolini, che come unica reazione hanno suscitato un’angosciante quantità di « Ma signora, perché ti balla l’occhio? Signora? » da parte di Aleth).
« Insomma, Sigmund, si sente pronto per quest’avventura? »
« N-n-no. » risponde lui, incerto.

« Signora, hai notato che per la strada non c’è nessuno? »
« Sì » Lux è sinceramente turbata dalla questione. Apre la borsa e dà un’occhiata alla mappa.
« Questo dovrebbe essere il villaggio ai piedi della Montagna Nera. »
Il sole è ormai tramontato oltre le colline da un bel po’, e solo le nuvole adesso conservano il color porpora del tramonto. La tonalità del cielo sfuma, verso l’alto, dal rosso, al viola, al blu più cupo della notte incombente.
Dopo aver lasciato la città hanno semplicemente seguito il sentiero, tenendo un ritmo veloce, superando la zona delle colline; qualche metro più in là, sotto di loro, inizia un villaggio.
« Sta calando il buio e noi avremmo bisogno di fermarci, abbiamo viaggiato tutto il giorno. Sigmund, che ne pensa? »
« F-f-forse non escono p-p-perchè hanno paura del b-b-buio. »
Lux si volta a guardarlo con un’espressione ai limiti dell’incredulo e del rassegnato.
« I-i-io non esco mai dopo che il s-s-sole è tramontato. » spiega.
« Signora, tu sai tante cose ma questa sicuramente non la sai » attacca Aleth.
« Non ora, di grazia. » Lux si concentra, e subito si accorge anche di non riuscire a sentire nessun suono dal villaggio. Appare completamente deserto, abbandonato. Eppure la maggior parte delle finestre è aperta, i fiori ben tenuti sui davanzali, le porte delle case sono curate e decorate.
« F-f-forse è-è-è così. » sussura Sigmund.
Inoltre, nonostante il diminuire della luce, dalle finestre delle case si intuisce solo il buio. Nessuna luce accesa.
« Il buio è bello per rubare. » continua imperterrito il bimbo. « Fa tanto tanto comodo. E lo sai signora che si ruba meglio nelle case che hanno i caminetti più grossi? Vuol dire che chi ci sta è ricco ricco. »
« Aleth. » il richiamo di Lux vorrebbe essere un minaccia, ma la vista del villaggio deserto l’ha riempita di una strana ansia e ha inciso significativamente sul tono della sua voce.
« Però ci devi entrare quando il camino è spento, eh. Perchè sennò vuol dire che sono ancora in casa. »
Ed effettivamente, dai caminetti non viene fumo.
Lux si stringe a Sigmund.
« Stia in guardia, Sigmund. Ho un brutto presentimento. » e aggiunge, con tutt’altra enfasi « Aleth, vieni qui. Stringiti a me. »
« I-i-io vi p-p-proteggerò » afferma Sigmund col tono di chi si aspetterebbe di riceverla, protezione.
« Avviciniamoci al villaggio. »

Si fermano di fronte alla prima casa che trovano. Buia. Le finestre sono chiuse, e dai vetri non si scorge che oscurità.
Lux bussa, con una certa angoscia nel cuore.
La porta si apre.
Piuttosto lentamente.
Scricchiolando.
Facendo uscire un pessimo odore.
Passano alcuni secondi,
senza che succeda nulla.
« Signora, perché non entri? » se ne esce Aleth, allegro e curioso.
« V-v-vuole che mi a-a-affacci io, s-s-signora? »
Una parte del cervello di Lux elabora il seguente concetto: “Un altro coglione che mi chiama signora.” Il restante invece programma la frase “Sì grazie” e impone al corpo di eseguirla.
« Sì grazie. »
« O-o-ok. »
E l’onorevole Sigmund fa un passo all’interno della casa.

Sigmund fa un balzo all’indietro quasi addosso avesse solo una sottile canotta di lino, per atterrare qualche metro più indietro.
Qualcosa nella mente di Lux si blocca. Inevitabilmente. I pensieri che le correvano in testa inchiodano di colpo; nella sua mente si crea un vuoto.
Quanto tempo? Qualche manciata di decimi di secondo, forse? All’improvviso i pensieri smettono di fluire regolarmente attraverso i vari strati del conscio e la parte più selvatica erompe brutalmente per prendere il totale possesso del corpo e dei riflessi. Proteggersi, prima di tutto, sembra l’unica cosa che abbia significato.
Dove? Dove nascondersi? Dove fuggire? Lontano. Più lontano. Il corpo si muove indipendentemente da ogni tipo di coscienza, scatta indietro. Il passo è stranamente, ridicolmente sicuro: l’adrenalina non si può permettere nemmeno un minimo spiraglio di dubbio.
Lux scatta all’indietro e percepisce di sfuggita il corpicino di Aleth alla sua sinistra fare lo stesso.
Sigmund rimane immobile.
Per qualche secondo,
non accade nulla.
Dopo quest’improvvisa svolta, dopo il movimento istantaneo, dopo l’eruzione dei propri istinti più primordiali, un’inattesa calma; più nulla.
I muscoli non si rilassano.
I pensieri rimangono bloccati nel traffico dei primari principi di sopravvivenza.
La calma prima della tempesta.
Poi, piano piano, arrivano.
Fluiscono fuori dalla casa come un liquido viscido e viscoso. Lentamente, inesorabilmente, omogeneamente nel loro apparente disordine.
I vestiti sono ridotti a brandelli, rimasti appesi per caso alle carni – se di carni si può proprio parlare. Sono vestiti da contadini. Cose semplici, ma di quei tessuti resistenti, di colori accesi, come usa nella loro terra. Ora sono sporchi e smunti, ma dovevano essere molti belli da vedere sulla pelle abbronzata di chi lavorava quei campi lì intorno.
Pelle. Pelle che non c’è più. Adesso gli stracci mostrano un rachitico e nodoso scarto nero come il carbone. Sembrano rami, ma erano braccia e gambe.
Le loro facce. Distorte in un’espressione inumana che lascia trasparire la più pura forma di dolore. Annodate in urla silenziose e immobili. Pietrificate, eppure le loro mascelle si muovono. Un movimento meccanico, privo di vita o entusiasmo, privo di volontà o determinazione.
Pieno di fame.
O ricordo di essa, forse. Eterno ricordo di un meccanismo prima fondamentale, adesso totalmente privo di senso ma allo stesso tempo necessario, ripetuto all’infinito in un ciclo eterno.
E queste mascelle meccaniche adesso sono tutte fuori dalla casa.
Pericolosamente vicine.
Le creature ruotano, in un silenzio innaturale. Tre di loro puntano il vivo a loro più vicino, e si slanciano verso il bianco paladino, cadendogli disordinatamente addosso in un turbinio di braccia demoniache, lacerando e strappando tutto ciò che incontrano sul loro cammino.
Sigmund è rimasto immobile, mentre i tre gli si buttavano addosso. Il ragazzo è ben piazzato, e le creature non l’hanno smosso dalla sua posizione; questo però non significa che il ragazzo ne sia uscito illeso. Adesso è sempre immobile, ma molto, molto sanguinante.
Li hanno colti alla sprovvista. Per quanto fossero preparati al peggio, non erano preparati a questo. Si aspettavano barbari, uomini di carne, non quello. Per quanto fossero pronti, i non-morti (incredibile a dirsi) sono stati più veloci di loro.
Lux si permette qualche manciata di secondi per sentirsi delusa da se stessa, per non aver saputo scattare al momento giusto. L’azione si sta dipanando irragionevolmente veloce davanti ai suoi occhi e lei non riesce a imporsi ed agire. Non sa cosa fare, all’improvviso ogni scelta sembra la più giusta e la più sbagliata contemporaneamente.
Un non-morto le si para davanti. No, sono due.
Sono orribili.
La luna inizia a brillare con sempre più forza nel cielo, ma nessuno se ne accorge. Il sole è completamente scomparso.
Sigmund se ne sta imbambolato a farsi smangiucchiare dai non-morti. Ha uno sguardo stranamente vuoto.
Lux perde Aleth di vista. I due non-morti sopra di lei hanno tutta la sua attenzione.
La situazione è ormai abbondantemente fuori controllo.

Lux fa per stendere le braccia di fronte a sé, cercando di pararsi in qualche modo da quelle bestie immonde, preparandosi magari ad un contrattacco; ma qualcosa la colpisce con forza, costringendola a barcollare indietro.
Con un impensabile equilibrio rimane in piedi: ha la sensazione che il suo braccio destro stia prendendo fuoco, quasi non si sente più le gambe. Il mondo gira per qualche secondo a una velocità superiore al limite consentito.
Sente del calore sulla fronte, e subito il sapore ferroso e bollente del sangue sulle labbra.
La mano sinistra oscilla tra la testa e il braccio destro, senza poi posarsi su nessuno dei due: il cervello inizia a inviare segnali di emergenza e indugia sulle priorità.
Il caos.
Nemmeno Aleth, qualche passo più in là, è al sicuro: un non-morto gli è addosso, pronto ad attaccarlo.
Aleth è più veloce però. Sa che può riuscire a prenderlo in contropiede e attaccarlo per primo.
Finchè, voltandosi, la luce della luna non inquadra degnamente il non-morto, le cui caratteristiche sono adesso lampanti per il piccolo bambino.
Che se la fa addosso.
E scappa strillando.
Sigmund non riesce a vedere la scena: il buio, le tre creature che lo sovrastano e il sangue che adesso gli cola copioso sugli occhi gli impediscono di vedere nient’altro se non quella carne carbonizzata e nera che si accanisce contro di lui.
Partendo dal presupposto che il nostro Sigmund non è un cuor di leone, e ricordando che avrebbe preferito essere da tutt’altra parte – considerando la forzatura alla carriera di combattente, lui che voleva essere uno studioso e che ha paura di uscire di casa dopo che il sole è tramontato – la varietà di reazioni che Messer Sigmund sta mostrando appare piuttosto ragionevole. Ansia, angoscia, paura, terrore. L’orrore che questi mostri suscitano nell’ eroica e bellissima damigella in pericolo che è Sigmund non ha pari. Così brutti, così sbagliati, che un giovane amante della natura e della vita si trova senza parole (ma soprattuto senza coraggio) nel momento in cui deve combatterli.
Perchè è questo che lui deve fare. E’ questo che si aspettano il piccolo Aleth e la giovane sacerdotessa al suo fianco. E’ questo che lui stesso si sente in dovere di compiere, perché tutto ciò a cui sta assistendo, quelle mascelle che si stanno avvicinando, sono profondamente sbagliati. L’ordine e la bellezza della vita vanno ristabiliti.
Su questo non ci sono dunque dubbi. Il cuore e l’anima di Sigmund sono immacolati come quelli di un neonato.
Infatti, non è questo il punto. Sigmund sa che deve sistemare questa faccenda, sa che deve impugnare la spada, proteggere la sacerdotessa e il bambino, eradicare dalla terra quelle creazioni orribili. Sigmund vorrebbe davvero farlo.
Ma Sigmund sa di non esserne capace.
Sigmund sa di essere debole.
Sigmund sa di avere paura.
Sa che la paura come sempre avrà il sopravvento.
Non è un codardo, non nel senso del termine vero e proprio. Sigmund sa di essere debole ma non vuole deludere nessuno. Al contempo, Sigmund sa che qualsiasi cosa tenti di fare, qualsiasi azione tenti di intraprendere, fallirà. Le parole di suo padre gli rimbombano nel cervello terrorizzandolo ancora più di quei mostri.
“Sei un incapace.”
“Razza di imbecille.”
“Non posso credere di aver dato vita ad uno come te.”
“Vergognati.”
“Mi fai schifo.”
Sigmund adesso vuole solo nascondersi in un angolo e piangere. Suo padre gli urla milioni e milioni di volte ricordandogli nella sua testa che lui è un coglione incapace. Schiude le labbra per provare a far scorrere via quel dolore, serra gli occhi, con le lacrime che lo punzecchiano dall’interno.
All’improvviso, inaspettatamente, Sigmund sprofonda così tanto nella paura e nel terrore che questi sortiscono, clamorosamente, l’effetto opposto.
E’ un secondo. Col volto disperato e nel panico più totale, Sigmund impugna la spada e tira un fendente potentissimo.
Non ne può più. Davanti a lui non ci sono più i mostri, ma suo padre, con dietro di sé, in fila, tutte le aspettative infrante per quel figlio mal riuscito. Statue di cristallo bellissime che anno dopo anno si sono arrese spezzandosi in mille frammenti sempre più dolorosi.
Sigmund carica qualcosa che solo lui può vedere davanti a lui. Non ha mai usato la sua spada con così tanta forza.
Il non-morto che invece ha colpito al suo posto ha un’espressione un po’ persa. Di certo gli sfugge tutta la questione di famiglia dietro al colpo che ha ricevuto, che non sembra averlo danneggiato particolarmente, ma di certo lo ha confuso un po’.

Lux fa una mezza giravolta, barcollando ancora.
Finalmente il sentiero del villaggio sotto di lei smette di girarle intorno nella danza sconnessa in cui si era lanciato quando i non-morti l’avevano colpita. La ferita alla testa ha dato vita a un noioso fischio di sottofondo che non ha intenzione di andarsene, mentre il braccio destro sta pian piano riprendendo coscienza di sé.
Alza lo sguardo e quei mostri sono ancora lì. Aveva sperato fossero un’illusione, o che quello fosse tutto un incubo e lei in realtà fosse ancora nel suo lettuccio caldo nei dormitori dell’Abbazia.
Bugia.
Il calore del sangue e la fiacchezza delle membra le ricordano che tutto questo è molto, molto reale.
Adesso che possiede nuovamente il suo corpo, non ci pensa due volte: alza le braccia verso i non-morti e sibilando una mezza preghiera si concentra su quel che deve fare.
E la sensazione, familiare, del calore che dal cuore corre alle braccia e arriva alle dita, e spicca il volo trasformandosi in purissima fiamma, la fa sentire a casa. Finalmente qualcosa che sa fare, e bene. Accenna un sorriso.
Fuoco. Tre dardi fiammanti erompono dalle dita tese e squarciano il buio attorno, scattando verso il loro bersaglio, il non-morto sulla sinistra.
Il fuoco attecchisce ai brandelli, che bruciano quasi istantaneamente. Il corpo del non-morto è completamente avvolto dalle fiamme. La luce finalmente illumina tutta l’area circostante.
Quel che sembra un lamento sorge da quel falò mobile. Il non-morto di destra nemmeno si accorge di quel che è successo al compagno e ha occhi e mascella solo per la sacerdotessa. Che per lui invece ha in serbo altro bellissimo fuoco.
Lancia altri tre dardi, ma uno lo manca. Gli altri due si conficcano nei nodi neri di quella che un tempo era la pelle; il non-morto oscilla, un po’ scosso, ma non è ancora fuori gioco.
Grazie alla luce del falò del non-morto che sta cercando di riparare, e che quindi si muove lentamente nel campo di battaglia, Lux e Aleth possono adesso vedere Sigmund, al centro, di fronte ai tre non-morti, sollevare la spada preso da impeto quasi divino. Nessun al di fuori del paladino ha una vaga idea dell’evoluzione dei pensieri che dal terrore l’ha trascinato al tentavivo di combattimento. Forse, se lo sapessero, ne potrebbero quasi essere fieri.
La spada, adesso elevata sopra la testa di Sigmund, brilla di una luce bianca potentissima, che quasi acceca chiunque la stia guardando.
Lo spettacolo è decisamente degno di nota, tanto che due dei non-morti rimangono accecati e imbambolati sul posto, unendosi nella confusione al loro compagno davanti a Lux. Gli altri tre rimanenti invece sono stati distratti dal bimbo che correva, dalla sacerdotessa e da chissà cos’altro, e manco hanno notato la spada lucente.
Sigmund però non ha ancora finito. Abbassa la spada, e non nota che l’eroico gesto non ha sostanzialmente sortito effetto. Questa mancanza gli permette di non abbattersi. Di nuovo, carica uno dei non-morti davanti a lui.
Clamorosamente, lo manca.
Questa volta è impossibile non notare il fallimento.
Il morale di Sigmund e la propria considerazione di sé sprofondano sotto terra.
Il non-morto, dal canto suo, si sente offeso da questo attentato alla sua non-vita e contrattacca.
Il colpo non ferisce ulteriormente Sigmund, che però ne sente le ovvie conseguenze. La vista si annebbia e non sembra capace di muoversi.
Anche un altro non-morto prova a colpirlo, ma stavolta il paladino, per caso, assorbe bene il colpo.

Nel frattempo, il piccolo Aleth si è ripreso dalla pauraccia del non-morto di prima. Smette di correre, si guarda intorno; e nota, in ordine di interesse:
1) Un falò al centro della strada. E’ decisamente più piccolo di quelli che fanno per il dio Sole, però questo si muove anche. Quelli del dio Sole non si muovono, di solito. C’è comunque da dire che non fa mai troppo caso ai falò, occupato com’è a prendere in prestito a tempo indeterminato i borselli dei fedeli che assistono; altra cosa che nota subito è
2) Il signore con l’armatura e la spada che prima brillava in modo davvero bello che ora si sta solo facendo picchiare dai tre mostri che gli stanno di fronte, senza nemmeno provare a contrattaccare. Sembra parecchio triste, il signore. Per non parlare della
3) sua signora, che invece sta tirando fuoco dalle dita contro i mostri. Questa è una cosa molto molto bella, non gliel’ha mai vista fare prima. Per quanto fuoco gli stia tirando, però, il mostro non sta bruciando. La sua signora è evidentemente piuttosto sfortunata, perché le freccette di fiamme che tira colpiscono il mostro sempre nei punti in cui già sembra bruciato. Ora, Aleth non conosce i principi fisici propri della combustione, però capisce che forse la sua signora ha bisogno di aiuto.
Per questo si mette di nuovo a correre. E’ piccolo e veloce, lui. In un baleno, è alle spalle del mostro. La sua signora ha bisogno di un aiutino, e il piccolo Aleth è lì per questo.
Dal buio escono brillando al riflesso delle fiamme i due pugnali di Aleth, che affondano nelle carni putride e contorte del mostro. Il piccolo rimane appeso ai suoi coltelli mentre il mostro con un lamento si affloscia smettendo finalmente di muovere le mascelle.
« Grazie piccolo » Lux sorride, e Aleth pensa che la sua signora ha un sorriso davvero bello, anche se è tutta spettinata e ha del sangue sul viso e sul vestito e un braccio parecchio ferito. Lei fa un passo e si frappone tra lui e il gruppetto al centro, Sigmund e gli altri tre non-morti. Con la mano sinistra gli fa segno di star dietro di lei.

E quello che lei adesso vede, eliminato il non-morto che le stava addosso, non la sta proprio rincuorando. Sigmund, lontano da lei qualche metro, innalza la spada. Ma è coperto di sangue, evidentemente ferito, stanco e decisamente spaventato.
« Ancora la spada luminosa, signore! » lo incita Aleth.
Effettivamente l’intenzione del paladino è proprio quella, ma la spada brilla solo per qualche decimo di secondo per poi spegnersi velocemente. I non-morti davanti a lui non ci fanno generalmente nemmeno caso.
A uno dei tre però non sfugge l’intento omicida del cavaliere e cerca quindi di porre fine alla sua vita. Sigmund non prova nemmeno a schivare l’attacco.
Lux capisce che è tempo di intervenire. Non sente più il peso di prima; muove le braccia con un movimento fluido, e di nuovo delle fiamme scintillanti sprizzano dalle dita e si intrecciano a formare tre dardi infuocati.
I dardi schizzano velocissimi verso i tre non-morti addosso a Sigmund. Due di loro prendono fuoco istantaneamente e cadono, uno a destra e uno a sinistra, in un vortice di fiamme. I loro corpi scricchiolano mentre si consumano per un’ultima volta.
Il non-morto al centro viene colpito al petto, e oscilla all’indietro. Una piccola fiammella attecchisce sul braccio, ma non sembra curarsene; sta cercando di tornare in assetto per colpire quell’eroe splendente che si trova di fronte.
Aleth scatta in avanti.
« Aleth, fermo, cosa… »
Il piccolo corre e assalta alle spalle il mostro prima che possa far male al signore. Il suo movimento è veloce, preciso, letale. Il corpo del mostro si spezza con un rumore legnoso e crolla a terra.
Sigmund si ritrova davanti quel bambino, col respiro un po’ affannato, che gli sorride genuinamente, quasi avesse fatto la cosa più naturale del mondo.
« Signore, stai bene signore? »


Continua…