San Lorenzo


“Guarda, Gianni, una stella cadente! Esprimi un desiderio”.
“È la quinta stella che cade, Silvia, non fare così ogni volta”.
Quella notte ne cadevano più degli altri anni. O forse era l’atmosfera di quel momento a dare tale impressione, chissà. Una cosa era certa, si disse Gianni, festeggiare San Lorenzo in quel modo è stata un’idea geniale. Si trovava lì, in uno spiazzo verde all’interno di un boschetto, steso accanto alla sua dolce compagna, sopra una grande coperta per non stare a contatto con l’umidità del suolo. Dietro di loro, la tenda montata alla bell’e meglio appena prima del tramonto; davanti a loro, i resti di un piccolo fuoco ormai spento; attorno a loro un tappeto d’erba e una muraglia di abeti; ed il cielo stellato sopra di loro, immenso, così profondo in quella notte di luna nuova, così vicino nel suo continuo sciamare di meteoriti, che ogni anno, al decimo giorno di agosto, ripetono la loro danza, come bianchi stormi di rondini nel loro periodico migrare. Rondini, il dieci di agosto. Gianni fu colto dall’ispirazione: “San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade…”.
“L’hai già detta, Gianni!”, lo interruppe Silvia.
“Scusa”, rispose, “È che è troppo bella e adatta per non dirla, non importa quante volte”.
“Poi, però, sono io che non devo esprimere desideri!”.
         Giovanni sospirò. Sapeva che a lei piaceva sentirlo declamare, ma a volte se ne stancava. Era fatta così, Silvia. Silvia, dal nome di ninfa, dal nome di poesia. Gli piaceva quel nome. Ma ogni tanto, quando lei non ricambiava gli slanci della sua fantasia, si ricordava di come quel nome in latino significhi “creatura delle selve”. E lei ogni tanto si mostrava “selvatica” agli occhi suoi e lo faceva sospirare di rassegnazione. Eh già.
“Vuoi mettere un banale desiderio con la maestosità dei versi di Giovanni?”, le disse.
“… Di Pascoli, intendi”.
“Pascoli, sì, ma Giovanni!”.
“Giovanni, sì, ma Pascoli. Non ti paragonare a lui!”, sorrise Silvia, dandogli un buffetto sulla guancia. Poi, dopo una pausa, continuò: “Io non mi vanterei di essere un poveraccio, orfano già da bambino, senza moglie, che parla agli animali”.
“Ma Pascoli non è solo questo, è un poeta. Proprio perché ha avuto una vita difficile ha scritto versi così belli. È stato triste ma ha fatto felici molti altri. Per questo è uno scrittore di successo”.
“Successo, bah, forse ai suoi tempi… Oh, un’altra stella cadente!”.
“Ecco, ora un desiderio lo esprimo: voglio poterti declamare ancora una poesia!”.
Silvia rise: “E sia, aspetta solo che ti metta il sottofondo musicale”, esclamò, scegliendo un brano d’orchestra dal cellulare.
         Una sinfonia di fiati si sparse per l’aria e la voce del ragazzo vibrò di passione nel cantare quei versi pieni di tenerezza, conservatisi intatti sotto la scure del tempo e giunti dopo tanti anni alle labbra di lui, alle orecchie di lei, al cuore di entrambi. “Gianni”, disse Silvia, commossa, alla fine della performance, “Sei troppo bravo. Come fai a ricordartele a memoria?”
“Perché sono belle davvero. La bellezza rende piacevole il ricordo e l’uomo la ricorda volentieri”.
“Allora lasciami rendere bella e memorabile questa notte!”.
“Come?”.
Silvia ruotò verso Gianni, gli cinse le spalle con il braccio e lo baciò. Il sapore del loro amore li pervase fin dentro l’anima. Sul fianco di lei si adagiò l’abbraccio del ragazzo e, uniti da una delicatezza così salda, sotto una rinnovata pioviggine di stelle, sul minuendo finale dell’orchestra che ancora suonava, si inebriarono l’un l’altra di quel bacio più dolce della poesia, di quella stretta più legata delle note musicali, di quella magia più fulgida degli astri che solo la passione sa generare. Il cuore di Gianni trasalì come davanti all’arcobaleno.
         Poi trasalì di nuovo: la melodia era finita lasciando automaticamente il posto ad una delle hit da discoteca del momento, opportuna quanto un morso di zanzara. “Stoppala! Stoppa quella cosa, adesso!” fece Gianni, nervoso.
“Calma, calma!” rispose Silvia, prendendo il cellulare. “Ora la spengo. Ecco qua”.
“Si stava così bene finora…”.
“Eh, pazienza, è partita da sola”.
“Hai dei gusti strani, tu che ascolti sia musica come questa che come quella di prima”.
“Io ascolto un po’ di tutto. Non ti piace l’ultima? La sentono tutti, è nuova, è bella…”.
Lui la guardò di traverso: “… Bella?”.
“Oh, senti, mica si può sentire solo Mozart e Beethoven! Anche la musica di oggi è bella, Gianni”.
“Ci mancherebbe, ma quella no. Dimmi cosa ti piace di quel brano”.
“Cosa mi piace?”, Silvia restò interdetta. “Beh, è popolare, ha ritmo…”.
“È popolare, ha ritmo, certo… Il “ritmo” di quella canzone sarebbe il rumore di qualche percussione sgangherata picchiata a tempo. Le parole ci sono ma non dicono niente di importante. Solo che è nuova, è orecchiabile, perciò diventa popolare. Ma questo non la rende bella!”.
Silvia sbuffò: “Ma Gianni, il suo autore è una star, ha fatto successo con canzoni come questa!”.
Gianni sospirò: “Io la vedo diversamente: il compositore è voluto diventare famoso tra un certo tipo di persone ed ha composto canzoni che possano soddisfare i loro bisogni. Nello specifico, molti giovani sentono la necessità di distrarsi, di divertirsi, di stare senza pensieri, perciò lui ha voluto dedicare a loro una musica accattivante e frivola, giusto per intrattenerli. Al pubblico è piaciuta, quindi lui ha avuto successo”.
“Bene. Quale sarebbe il problema?”.
“Il problema, Silvia, è che questa canzone piace, se piace, solo la prima volta, la seconda, la terza al massimo. Poi annoia e non viene più ascoltata, perché non lascia niente nell’auditore. È un passatempo, non è arte. Per questo non riesco a concepire come abbia successo”.
“Dimmi un autore di successo, allora”.
“Pascoli”.
“Boom, l’hai sparata!”. Silvia si girò dall’altra parte, con disappunto, non vedendo il cielo rigarsi di una nuova stella cadente. “Quello non è neanche un cantante”.
Gianni sorrise: “Ma tu ci pensi che dopo duecento anni ancora leggiamo Pascoli? Le sue poesie continuano a parlare a tutti noi ed a farci emozionare. Pure tu ti sei emozionata, poco fa, sentendomi. Di quella canzone cosa resterà tra un mese, tra un anno?”.
“Niente, forse, ma non importa. Tutto finisce, prima o poi, l’importante è che sia stato bello finché è durato. Anche Pascoli, che ti piace tanto, prima o poi sarà dimenticato”.
“Tu dici? Guarda in alto”. Silvia tornò a sdraiarsi di schiena, puntando gli occhi al cielo. “Tu hai detto che quell’autore è una star, una stella. Ma una stella cadente, come quelle che hai visto prima, come quella che non hai visto quando ti sei girata. Bellissima, attraente, ma effimera. Attira lo sguardo di tutti, ma dura un secondo per essere rimpiazzata dalla prossima. Questo compositore che è tanto famoso adesso non era conosciuto prima e non avrà futuro poi, è solamente uno dei tanti che fa musica del suo genere”.
“È quello che ho detto io, Gianni! Lasciagli godere il suo momento di gloria, prima che finisca”.
“Ecco, il momento di gloria. Un momento solo. C’è chi brilla come una stella cadente e chi si lascia apprezzare più a lungo, come la luna per esempio. Stanotte i meteoriti si vedono benissimo proprio perché la luna è nuova, ma non appena torna a brillare oscura le altre stelle e si prende la scena, protagonista del suo mese di luce, prima di sparire di nuovo. Pensa a quegli artisti che hanno avuto un seguito, che hanno dato vita ad una corrente di pensiero, ad un movimento culturale! Non sono stati, loro, persone di successo, più del tuo cantante?”.
“È vero”, ammise Silvia: “Chissà se se l’aspettavano di diventare così importanti…”.
“No, non se lo potevano aspettare, almeno non all’inizio del loro lavoro. Ed è questo che li rende ancora più affascinanti, non credi?”.
“Ma… Mi stai dicendo che sono diventati così influenti senza farlo apposta? Non può essere”.
“Certamente avevano qualcosa da esprimere con la loro arte, ma non sono andati a imporre il loro messaggio agli altri. Hanno lasciato che i lettori, gli auditori, gli spettatori giusti li apprezzassero sinceramente e li rendessero famosi. Ce ne è voluto di tempo, ma ce l’hanno fatta a brillare come lune piene”.
“Ma la luna poi cala. Anche loro hanno smesso di essere famosi!”.
“Eheheh, sei insistente, Silvia! Ma osserva…”, riprese Gianni, dopo una pausa: “Per quanto San Lorenzo faccia volteggiare i suoi astri nella notte, per quanto rifulga la sorella del sole, restano centinaia di fiaccole in cielo: le stelle fisse. Esse possono essere più o meno luminose, ma sono sempre lì a splendere. Le nuvole di passaggio, la luna o le stelle cadenti possono coprirle per un po’, ma poi tornano a lasciarsi vedere da chi ha occhi anche per loro. Questa è la vera arte, questo è il vero successo: lasciare parte di sé negli uomini, nella Natura, rendendo la notte un po’ più luminosa di prima”.
         Silvia rispose chiudendosi in un silenzio pensoso, sorpresa da nuove stelle cadenti a cui non si sentì di affidare altri desideri. Le parole di Gianni, da che avevano tutta l’aria di un litigio a causa di quella canzone imprevista, si erano rivelate interessanti. Le piaceva quando la faceva riflettere, non era da tutti lasciare che i propri discorsi restassero nella mente dell’altra persona, dopo essere passati per le sue orecchie. Poi finiva per scherzare su quanto egli fosse più logorroico di lei, pure se maschio. Misurare il successo con le stelle… Non ci aveva mai pensato.
“Mah, non è che non sia convinta, Gianni…”, esordì, uscendo dalla sua pausa di riflessione: “È che non ho mai fatto così tanto caso alle stelle fisse, mi sono sempre piaciute di più le altre”.
“Forse tu no”, rispose, “E forse nemmeno la maggior parte della gente, ma altri sì. Gli astronomi, gli esperti del settore, sanno bene che nonostante il loro baluginio fioco esse sono splendenti, luminosissime e lontane. Si tratta di saperle raggiungere. Se ci pensi, le stelle cadenti non hanno ciascuna un nome proprio e nemmeno le lune piene, sono solo “stelle cadenti” e “lune piene”. Le stelle fisse, invece, sono chiamate per nome dall’alba dei tempi, sia singolarmente che come costellazioni”.
“Perché gli uomini le hanno potute vedere da sempre e non hanno mai smesso di fare luce, dici?”.
“Esatto”.
“E analogamente gli autori di successo per te sono quelli che sono sempre riusciti a dire qualcosa alle persone, illuminandoli dall’alto della loro cultura, anche a distanza di tempo… Ma se la gente spesso non li conosce o sa semplicemente che sono importanti, si può parlare davvero di successo?”.
Gianni le abbracciò le spalle: “Guarda, Silvia, per me il successo è un po’ come l’amore: più lo si cerca e più lo si confonde con altro. Se è un chiodo fisso rischia di scadere in semplice approvazione di pubblico, di consenso, di attenzione. Non bisogna necessariamente piacere a chi si ha intorno per trovarlo, anzi spesso più ci si sforza di essere popolari e più si viene banalizzati. L’importante è esprimere ciò che si ha dentro, nella maniera più bella, più propria, in attesa di quello spettatore che ti saprà apprezzare e rendere famoso come artista. Prima o poi verrà l’estimatore, forse in tarda età, forse dopo la morte, ma verrà”.
“Allora anche il cantante di prima troverà un giorno qualcuno che lo porterà al successo!”.
“Non era quello che intendevo…”, sbuffò lui. “Bah, può darsi, un giorno. Chi sono io per giudicare?”, si arrese alla fine, “In fondo è anche una questione di gusti. C’è una cosa, però, su cui sono sicuro che siamo d’accordo entrambi”.
“Cosa?”.
“Che ho parlato troppo”.
         Silvia rise e ricambiò il suo abbraccio. D’improvviso si sentirono meno soli nell’oscurità, con quei mille sguardi bianchi sospesi nel cielo, gli sguardi degli artisti del passato che brillavano come brillarono ai loro tempi. Ma era una presenza confortante, quel bianco sul blu della notte, che sarebbe stata nera senza quel bianco timido e sparpagliato. Dopotutto, se il cielo di San Lorenzo era famoso per le stelle cadenti, cosa rendeva il cielo così piacevole tutti gli altri giorni, se non le stelle ancora in piedi? Un ultimo meteorite tagliò la volta dell’universo. Gianni si girò verso di lei, Silvia verso di lui, insieme. Sorrisero. Si baciarono di nuovo.